Una Gita a.....

Asso

Il 5 e 6 aprile il F.A.I. (Fondo per l’Ambiente Italiano), ha promosso la 16a giornata di primavera e fra le varie aperture straordinarie e gratuite una è balzata alla nostra attenzione.

Asso, provincia di Como, circa 3500 anime ha aperto… il paese!

E così, domenica 6 aprile 2008, in mattinata, siamo partiti per una gita giornaliera in quel di Asso.

Seppure arrivati nella tarda mattinata, l’auto ha trovato posto nel parcheggio del locale stadio di calcio (dove nel pomeriggio si è giocata una partita di calcio femminile).

Il paese, che si estende su una superficie di circa 6,5 Km2 condivide con Canzo il capolinea delle Ferrovie Nord Milano.

Iniziamo la visita e subito siamo stati attirati dell’imponente dispiegamento della locale sezione della Protezione Civile.

In ogni punto strategico ecco addetti pronti a consigliarti e a regolare anche il traffico veicolare (!).

Cammina cammina ci accorgiamo che è un fiorire di frecce di indicazione per ogni edificio o ambiente che avesse un ben che minimo interesse storico o architettonico e così eccoci al Palazzo Magnacavallo con il suo illustre portone.

Da qui il paese appare nella sua versione medievale e l’intricato tracciato delle strade regala ad ogni angolo degli scorci di indubbio fascino e un’atmosfera di altri tempi.

Attrattiva principale della giornata è stata senza dubbio la visita ai mulini ad acqua; ora, rispetto al posto dove abbiamo lasciato l’auto questi erano… dall’altra parte del paese; ma camminare non ci spaventa e così, rifiutato il trasporto in autobus, pedonibus calcantibus eccoci a girovagare per il paese tra i vicoli e le strade, sui sentieri e le scorciatoie arriviamo alla sede del primo mulino, quello del Mauri, (Luigi Mauri) personaggio, quest’ultimo, figlio di mugnai che non ha voluto abbandonare l’arte degli avi anche quando la società è così cambiata da costringerlo a sbarcare il lunario in altri modi, così di giorno mugnaio e assicuratore, di notte guardia notturna.

E il suo mulino è lì che “funziona” ancora; la macina (l’unica rimasta di due macine) gira ancora azionata dalla forza dell’acqua, (a detta dell’accompagnatrice) del Lambretto, derivazione di acqua del Lambro… mi pareva però che il Lambretto fosse a Monza, mah!

Comunque la visita all’interno del mulino ci ha fatto scoprire sistemi di “allarme” che il mugnaio usava per quando il mais da macinare terminava (già il mais, qui si macinava soprattutto mais in quanto il frumento era roba da ricchi), con un’inventiva ed una precisione “meccanica” eccezionali; strumenti di allarme dicevo, costituiti da una campanella appesa ad un filo sospeso, tenuto in sede nel “sacco” che conteneva il mais da macinare, dal peso del mais stesso; quando questo terminava, la campanella cadendo nella macina (che continuando ad andare) segnalava al mugnaio che era ora di riempire nuovamente il recipiente.

La macina in pietra, ruotando azionata dall’acqua sulla macina fissa, sbriciolava i chicchi di mais e la farina che per forza centrifuga veniva indirizzata verso un setaccio rotante (Il Buratto) questa cadeva in un recipiente, da dove il mugnaio attingeva.

Questa farina veniva poi ulteriormente setacciata per liberarla dalla crusca che aveva superato il primo setaccio.

Le rivalità fra contadini della zona faceva si che quando questi portavano il mais o il raro frumento al mulino, non lo perdevano di vista un solo istante, addirittura ci si addormentavano sopra, la morale era. «Il mio mais è migliore del tuo!!!».

Il mulino del Mauri da notizia di se dal 1750 circa ed è l’ultimo mulino funzionante della valle del Lambro, oggi però il suo prodotto non può essere utilizzato, la rigida normativa nazionale e quella comunitaria non permettono a siffatti mulini di vedere l’opera del loro prodotto apprezzata e consumata, ma vuoi mettere che buone polente?

Proseguendo si raggiunge un altro mulino, il Valsecchi, ma l’ora (di pranzo) ci ha consigliato di andare a recuperare le vettovaglie.

Sulla strada per i mulini il Lambro in località “ponte oscuro” si butta in un orrido, una gola rocciosa dove le acque del fiume precipitano giù per l’anfratto scavando la roccia stessa e formando, se abbiamo visto bene anche una bella grotta.

Rifocillati e quasi satolli la visita è ripartita dal campo sportivo dove stava per iniziare un incontro di calcio, dopotutto la domenica è il giorno del Signore, ma anche e per qualcuno soprattutto, il giorno del pallone.

Il giro nel paese ci ha portati qua e la fino al castello, in realtà una torre che essendo proprietà privata non era visitabile, la torre, i cui ultimi due piani sono lasciti letteralmente andare è inserita nella classifica dei luoghi del cuore del F.A.I. insieme al borgo medievale, per un progetto di salvaguardia.

Notevole la chiesa prepositurale di san Giovanni Battista il cui interno è dominato dal legno ed è legata a papa Pio XI (Ambrogio Damiano Achille Ratti) che trascorreva in giovinezza le vacanze estive ad Asso e che ha conferito ai parroci di questa chiesa l’onore d’insignirsi del titolo di “Monsignore”.

A breve distanza c’è anche la chiesa del santissimo Crocifisso, costruita nel volgere di 10 anni tra il 1766 e il 1776 per potervi custodire il crocifisso ligneo venerato in tutta la Vallassina per le sue facoltà taumaturgiche.

La chiesa, cara agli abitanti di Asso, è da questi chiamata la “chiesa piccola” o “gesa pinìna” in dialetto, all’interno begli affreschi e statue di santi, come in molte chiese, ha una torre campanaria alta 31 metri con un concerto di tre campane intonate sulle note fa, si bemolle e do; una scalinata tutta in sarizzo o serizzo di 117 gradini raggiunge la cella campanaria.

Sopra la città di Asso, in posizione nettamente dominante sorge a mezza costa Villa Vita (già Villa Pozzi) costruita nell’800, sulla facciata rivolta a sud si legge il motto latino “Per aspera ad astra” – è aspro il cammino per eccellere – un tempo detto motto (traslato da Lucio Anneo Seneca – Hercules furens – Atto II v. 437) si leggeva da maggior distanza.

Alla fine del secondo conflitto mondiale la villa, requisita, fu usata per alloggiare ufficiali tedeschi delle SS.

Ormai quasi giunti al termine della gita, cerchiamo un bar per un rinfresco e due caffè, l’attenzione è attratta da una struttura, inusuale, oserei dire, in via Matteotti, nei pressi di via Prato, alzando gli occhi abbiamo visto un ponte, ma non un ponte come lo si può immaginare, con auto, moto o altro, qui si tratta di un ponte pedonale, e se anche non è il veneziano ponte dei sospiri, la struttura lo fa apparire come un ponte al più condominiale, già perché porta ad una casa privata (reminiscenze di passate vestigia castellane?)



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19 aprile 2008
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